Di Matteo non è solo

13 Novembre 2013

Oggi ho appreso da alcuni quotidiani che dalla sua cella del carcere di Opera, in cui sta scontando la sua pena detentiva,  il boss di Cosa Nostra Totò Riina  avrebbe urlato “il P.M. Di Matteo deve morire, fosse l’ultima cosa che faccio”.

Voglio ricordare che Il sostituto procuratore di Palermo Nino Di Matteo attualmente rappresenta la parte d’accusa al processo sulla trattativa tra lo Stato e la Mafia, ed è stato già oggetto di alcune lettere anonime che parlavano di un piano di morte nei suoi confronti, autorizzato dal superlatitante Matteo Messina Denaro.

Il P.M. Nino Di Matteo sa perfettamente quanto sia alta la posta per un uomo dello Stato che, con grande senso del dovere e delle istituzioni, decide di fare finalmente chiarezza su una vicenda così oscura e drammatica per il Nostro Paese. Nonostante le difficoltà però Nino Di Matteo ha deciso di andare avanti, con forza e determinazione, consapevole del fatto che il suo dovere di magistrato è quello di indagare con coraggio,  per portare alla luce la verità sulla vicenda della trattativa tra Stato e Mafia e, più in generale, delle possibili relazioni che, negli anni delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, sarebbero intercorse tra lo Stato e Cosa Nostra.

Io non credo che il P.M. si sia sorpreso oggi, leggendo i giornali, della notizia che lo riguardava. Così come non credo si sia sorpreso di sapere, attraverso la lettura delle lettere anonime, di essere oggetto di un possibile attentato.

Io penso, come credo lo pensi anche lui, che quella di oggi sia stata l’ennesima conferma che con il suo lavoro sta andando nella giusta direzione. Oggi, ancora di più, sappiamo quanto bene il sostituto procuratore stia svolgendo il suo compito, e quanto si stia avvicinando alla verità. Credo che il P.M. Nino Di Matteo si sia sorpreso, piuttosto, durante i mesi che lo hanno visto protagonista di provvedimenti disciplinari da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, o nei giorni in cui il livello di protezione della sua scorta stentava ad alzarsi, perché un attentato alla sua persona era ritenuto poco credibile.

Il nostro compito, oggi, è di stringerci ancora di più attorno al sostituto procuratore Nino Di Matteo, dicendogli di non mollare, di andare avanti, perché il suo prezioso lavoro verrà ricordato per sempre, perché tutta l’Italia, quella perbene, è con lui.

Di seguito il video del mio intervento di oggi in aula.

“Signor Presidente, prendo la parola a nome del MoVimento 5 Stelle, non per esprimere solidarietà al magistrato Di Matteo, minacciato dal carcere dal boss Totò Riina, non solo perlomeno. Nella posizione in cui siamo non possiamo limitarci a spendere due parole e nulla più. Già negli scorsi mesi abbiamo fatto numerosi interventi – le colleghe Sarti, Di Vita, Dadone – in quest’Aula affinché venissero presi tutti i provvedimenti necessari per garantire l’incolumità di Nino Di Matteo e degli altri magistrati in pericolo, in parte ascoltati perché sappiamo che il livello di protezione, almeno nei suoi confronti, è stato innalzato.
A tal proposito, abbiamo piena fiducia che verrà garantita la sicurezza necessaria all’intero pool. Ma se da un lato al PM Di Matteo è stata garantita maggiore protezione, dall’altro non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia. C’è un procedimento disciplinare in corso, infatti, aperto dal CSM, il cui capo ricordo essere il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, proprio contro Nino Di Matteo. Egli avrebbe, secondo la procura generale della Cassazione, «rivelato l’esistenza agli atti delle intercettazioni Mancino-Napolitano, rilasciando un’intervista al quotidiano la Repubblica, violando, quindi, il riserbo sulle indagini». Avrebbe, inoltre, «leso in maniera concreta il diritto alla riservatezza del Capo dello Stato», sempre lo stesso capo del CSM. In realtà, tutti sapevano che tali notizie erano già facilmente reperibili attraverso articoli usciti in quei giorni su altri periodici, articoli che citavano proprio quelle telefonate.
Procedimenti disciplinari come questo servono solo ad isolare ancora di più l’azione dei magistrati impegnati nella ricerca della verità come Di Matteo. Il generale Dalla Chiesa raccontava che quand’era comandante dei carabinieri a Palermo la mafia aveva minacciato un suo capitano di stanza in un paese vicino. Lui se lo prese sottobraccio, i due passeggiarono lentamente lungo il corso principale del paese per far capire a tutti che quel capitano non era solo, che le minacce erano inutili, perché eliminato quel capitano ne sarebbe arrivato subito un altro uguale a lui, e poi un altro e un altro ancora. Chiedo solo che qualcuno mi prenda sottobraccio e passeggi con me, diceva Dalla Chiesa. Sappiamo tutti com’è finita con Dalla Chiesa, abbandonato dallo stesso Stato, che l’aveva mandato in trincea con la promessa di poteri speciali che non sono mai arrivati a destinazione.
Concludo, Presidente, dicendo che lo prendiamo noi sottobraccio Nino Di Matteo e gli altri magistrati che con coraggio e va detto mettendo a rischio le loro carriere, e non solo, stanno scavando negli anfratti di questo Stato per giungere ad una verità almeno giudiziaria. A loro diciamo che non sono soli affatto, con loro ci sono tutti gli italiani onesti, che sono la stragrande maggioranza di questo Paese, che vogliono che continuino il loro lavoro, con lo stesso impegno profuso in questi anni, perché è la nostra storia a dirci chi siamo, da dove veniamo, ma soprattutto dove vogliamo andare. E certamente non vogliamo andare incontro alle mafie e a quelle istituzioni che flirtano con loro, in alcun modo.”

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